L’affido esclusivo rafforzato dei figli a un solo genitore può essere disposto nel caso in cui il giudice rilevi delle difficoltà dell’altro genitore a “sintonizzarsi con i figli, a comprendere i loro bisogni oltre che a comprendere i propri errori”. Questo è quanto ha chiarito la Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 29999/2020 con la quale ha rigettato il ricorso proposto da una madre avverso il decreto della Corte d’Appello di Roma il quale a) affidava i figli al padre, attribuendo a quest’ultimo l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale per tutte le questioni riguardanti i minori, anche senza il consenso della madre; b) disponeva che i minori potessero incontrare la madre secondo la loro volontà; c) invitava quest’ultima a seguire un percorso di terapia individuale e d) confermava la previsione di un assegno di mantenimento per i figli di euro 800,00 mensili a carico della madre.
Nel caso portato avanti alla Suprema Corte, la madre si opponeva, in particolare, alla decisione assunta dal Giudice di Secondo Grado il quale “pur avendo ritenuto che la condotta materna non era tale da dar luogo ad una pronuncia di decadenza, ha tuttavia ravvisato i presupposti per applicare l’affido esclusivo rafforzato dei figli al padre”, figura, questa, di creazione giurisprudenziale, estrapolata da un’attenta lettura dell’art. 337 quater cod. civ., che ha preso piede nel nostro ordinamento dopo l’ordinanza del 20.03.2014 del Tribunale di Milano.
Il cosiddetto affido “super esclusivo” consente, a differenza del regime dell’affidamento esclusivo, al genitore affidatario di adottare tutte le decisioni riguardanti il minore – tenendo conto delle sue capacità, aspirazioni e inclinazioni naturali – anche senza il coinvolgimento dell’altro genitore. Tale regime è stato introdotto dalla Giurisprudenza al fine di garantire la priorità del preminente interesse del minore proprio per evitare che “la macchina di rappresentanza degli interessi del minore sia inibita nel funzionamento, a causa del completo e grave disinteresse” di un genitore per la propria famiglia (Ordinanza del Tribunale di Milano sopra menzionata).
Nel caso di specie, a fronte di un’articolata istruttoria, la Corte territoriale aveva accertato la sussistenza di un clima di grave conflittualità familiare connotato da emozioni prevalentemente negative (rabbia, criticismo, sfiducia, paura) e causato principalmente dal comportamento della madre la quale “non appariva in grado di svolgere alcuna funzione educativa nei confronti dei figli minori”. A fronte di quanto esposto, gli Ermellini hanno ribadito che nel caso in cui un genitore violi o trascuri i doveri inerenti alla responsabilità genitoriale o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio per il figlio il giudice “ha la possibilità di non pronunciare la decadenza dalla responsabilità genitoriale e di graduare le misure applicabili, come previsto dall’art. 333 cod. civ., secondo il quale, quando la condotta appare comunque pregiudizievole per il figlio, il giudice può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore convivente che maltratta o abusa del minore”.