È quanto ha stabilito la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 2480/2021. Secondo la Suprema Corte, infatti, costringere una persona a salire in automobile integra il delitto di violenza privata (articolo 610 c.p.) e non quello, come asserito dal Pubblico Ministero, di sequestro di persona (articolo 605 c.p.).
All’origine di tale vicenda giudiziaria il comportamento dell’ex ragazzo che, al fine di “avere il tempo necessario per conversare” con l’ex ragazza l’aveva costretta ad entrare nella sua auto e ad avere un dialogo non voluto con l’imputato, sopportando, di fatto, la condotta indesiderata di questo. Inizialmente, i Giudici di Primo Grado avevano condannato l’ex compagno ritenendolo responsabile del delitto di sequestro di persona nei confronti della vittima. Tale giudizio è stato poi parzialmente riformato dalla Corte d’Appello di Catanzaro la quale ha riqualificato il delitto ex articolo 605 c.p. in quello di violenza privata, con conseguente rideterminazione della pena. A seguito della pronuncia del Giudici d’Appello, il Pubblico Ministero ha proposto ricorso in Cassazione lamentando l’errata applicazione della norma relativa al sequestro di persona secondo la quale, alla luce della giurisprudenza di legittimità, “il delitto di violenza privata ha in comune con il delitto di sequestro di persona l’elemento materiale della costrizione, ma se ne differenzia perché in esso viene lesa la libertà psichica di autodeterminazione del soggetto passivo, mentre nel sequestro di persona viene lesa la libertà di movimento; ne consegue che, per il principio di specialità di cui all’articolo 15 c.p., non è configurabile il delitto di violenza privata qualora la violenza, fisica o morale, sia stata usata direttamente ed esclusivamente per privare la persona offesa della libertà di movimento”.
Nel dichiarare il ricorso del PM inammissibile, gli Ermellini hanno affermato che il comportamento dell’uomo debba essere ricondotto alla fattispecie della violenza privata in quanto i comportamenti minatori e aggressivi posti in essere dall’imputato erano finalizzati ad avere più tempo per poter parlare con la donna e non esclusivamente per privare la stessa della libertà di movimento.