Nel 2012, due ragazzi vengono condannati dal Tribunale per i Minorenni di Catania per percosse, lesioni e atti persecutori, con relative aggravanti, per aver “bullizzato”, durante tutto l’anno scolastico, un loro compagno di classe. La vittima soffriva di uno stato di ansia e paura per la propria incolumità, causato dalle condotte poste in essere dai ragazzi poi condannati, ed è stata costretta a cambiare scuola.
È stato proposto ricorso in Appello e poi in Cassazione: l’iter giudiziario ha confermato la sentenza del Tribunale di primo grado. Con sentenza del 28 febbraio 2018, n. 26595/18, la V Sez. Penale della Corte di Cassazione ha ritenuto i ricorsi, separatamente presentati dai difensori dei due imputati, entrambi infondati, valutando esauriente e logica la risposta della Corte d’Appello a tutti i rilievi difensivi, risposta basata sulla narrazione della persona offesa, ritenuta assolutamente credibile, corroborata da tutti gli altri elementi di prova raccolti, quali le dichiarazioni degli altri compagni di classe o un video effettuato tramite cellulare durante le aggressioni alla vittima.
È stato ritenuto che gli atti posti in essere dai due bulli integrassero la condotta tipica della fattispecie del reato di stalking, in quanto causa di un cambio nelle abitudini di vita della vittima, costretta a cambiare scuola, e di un perdurante stato d’ansia insorgente all’idea di affrontare la propria quotidianità in quel contesto.
Non è stata ravvisata l’illegittimità, asserita dalla difesa, della mancata applicazione delle attenuanti generiche. La Suprema Corte ha confermato l’orientamento della Corte territoriale che ha ritenuto fossero mancanti elementi valutabili positivamente, in quanto non solo i fatti sono assolutamente gravissimi, ma nei due ragazzi non è stato riscontrato alcun procedimento di maturazione e rivisitazione critica del proprio operato, continuando piuttosto ad affermare che la persona offesa è stata vittima di scherzi, dimostrando di non aver compreso la gravità delle proprie condotte.