Con sentenza del 23.10.2017, la Corte d’Appello di Roma conferma la condanna in primo grado di L.B. per il reato di cui all’art. 572 c.p., commesso ai danni della ex moglie B. e del figlio minore.
L. ricorre in Cassazione adducendo, tra gli altri motivi, il vizio per violazione di legge con riguardo alla riconducibilità dei fatti accertati alla fattispecie di maltrattamenti in famiglia, per mancata sussistenza dell’imprescindibile rapporto di coniugio o convivenza, essendo i due coniugi divorziati dal 2008.
I giudici d’appello hanno ricostruito la situazione familiare, al di là dell’avvenuto divorzio, esaminando il rapporto tra i due, tramite le dichiarazioni delle persone offese e delle altre persone implicate – quali vicini o assistenti sociali – e sono arrivati alla conclusione della sussistenza fra L. e B., oltre che con il figlio minore a lui affidato, di un rapporto familiare, nel corso del quale si sono registrati abusi, materiali e psicologici, in danno della donna e del figlio minore della coppia, idonei ad integrare il reato di cui all’art. 572 c.p..
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sent. n. 27986/18, con la quale ha dichiarato il ricorso inammissibile, il residuale rapporto di frequentazione sussistente era suscettibile a dar luogo ad un vincolo familiare di fatto, intendendosi per famiglia un gruppo di persone tra le quali, a prescindere dai rapporti coniugali o dalla convivenza, si siano consolidate abitudini di vita comune derivanti dall’esigenza di educazione e cura dei figli, esigenza che impone la permanenza di un contatto tra gli ex coniugi, permanenza a sua volta suscettibile di riprodurre le condizioni di affidamento e sostanziale subordinazione psicologica tipiche della fattispecie di maltrattamento, non costituendo quindi circostanza preclusiva l’intervenuto divorzio.