Nel caso in cui le vittime di reati intenzionali violenti non riescano ad ottenere un risarcimento dall’autore del reato – in quanto questi non possieda le risorse necessarie per ottemperare a una condanna al risarcimento dei danni oppure non possa essere identificato o perseguito – lo Stato ha l’obbligo di indennizzarle con un importo equo e adeguato che tenga conto delle gravissime conseguenze di ordine morale e psicologico subite dalla vittima. Questo è quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione con la Sentenza n. 26757/2020 a seguito di due rinvii pregiudiziali alla Corte di Giustizia dell’Unione Europee (CGUE).
L’origine di tale vicenda giudiziaria risale al 2005 quando una cittadina italiana, B.V., di origini rumene, fu aggredita, sequestrata e costretta, con violenze e minacce, a praticare e a subire, ripetutamente, atti sessuali da parte di due uomini, i quali, per tali fatti, vennero condannati in sede penale, in via definitiva, alla pena di dieci anni e sei mesi di reclusione, oltre al risarcimento del danno in favore della vittima di una provvisionale immediatamente esecutiva si euro 50.000 che quest’ultima non riuscì ad ottenere in quanto i rei si resero latitanti. A fronte di ciò, nel 2009 la vittima decise di evocare in giudizio dinanzi al Tribunale di Torino la Presidenza del Consiglio dei Ministri affinché ne venisse dichiarata la responsabilità per non aver correttamente e integralmente attuato gli obblighi previsti dalla direttiva 2004/80/CE del 29 aprile 2004 – direttiva che l’Italia ha recepito solamente nel 2017 – relativa all’indennizzo delle vittime di reato e, nello specifico, l’articolo 12, paragrafo 2, il quale stabilisce che “Tutti gli Stati membri provvedono a che le loro normative nazionali prevedano l’esistenza di un sistema di indennizzo delle vittime di reati intenzionali violenti commessi nei rispettivi territori, che garantisca un indennizzo equo ed adeguato delle vittime”.
Con sentenza del 26 maggio 2010 il Tribunale di Primo grado accertò l’inadempimento della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la mancata attuazione della direttiva summenzionata e condannò la stessa al pagamento, in favore di B.V., di euro 90.000. Tale verdetto venne poi confermato dalla Corte di Appello di Torino la quale, seppur ribadendo quanto deciso dal Giudice di prime cure, ridusse la somma ad euro 50.000 in ragione della natura “non risarcitoria bensì indennitaria della responsabilità dello stato per omessa o tardiva attuazione della direttiva comunitaria non auto esecutiva”.
Successivamente la Presidenza del Consiglio dei Ministri propose ricorso in Cassazione la quale, però, rinviò la causa a nuovo ruolo in attesa della definizione della procedura di infrazione promossa dalla Commissione europea, in data 22 dicembre 2014, contro la Repubblica italiana (Causa C-601/14).
A conclusione di tale ricorso dinanzi alla Corte di Lussemburgo, ripreso il giudizio avanti la Suprema Corte, gli Ermellini interpellarono nuovamente la CGUE chiedendole di pronunciarsi in via pregiudiziale su due quesiti: 1) la configurabilità, in relazione alla situazione di intempestivo e/o incompleto recepimento nell’ordinamento interno della direttiva 2004/80/CE, della responsabilità dello Stato Membro anche nei confronti di soggetti non transfrontalieri; 2) la possibilità di reputare “equo e adeguato” l’indennizzo forfettario di euro 4.800 concesso alle vittime di violenza sessuale in base a un sistema nazionale di indennizzo di queste ultime. Con la sentenza del 16 luglio 2020 (causa C-129/19) la CGUE ha affermato che: 1) l’articolo 12, paragrafo 2, della direttiva in questione impone a ogni Stato Membro di dotarsi di un sistema di indennizzo che ricomprenda tutte le vittime di reati intenzionali violenti commessi nei loro territori e non soltanto le vittime che si trovano in una situazione transfrontaliera e 2) l’importo di euro 4.800, stabilito dal D.M. 31 agosto 2017, per l’indennizzo della vittima di violenza sessuale non sembra corrispondere a un “indennizzo equo ed adeguato”. Quest’ultimo, inoltre, non dovendo necessariamente corrispondere al risarcimento del danno che può essere accordato, a carico dell’autore di un reato intenzionale violento, alla vittima di tale reato, rappresenta un contributo al ristoro del danno materiale e morale subito dalla vittima da considerarsi “equo e adeguato” nel caso in cui compensi, in misura appropriata, le sofferenze alle quali le vittime sono state esposte.
A fronte di tale verdetto la Corte di Cassazione, in linea con il Giudice europeo, ha affermato in primis che le vittime di qualsiasi reato intenzionale e violento commesso in Italia devono essere risarcite del danno derivante dalla tardiva o erronea trasposizione a livello nazionale dell’articolo 12, paragrafo 2, della Direttiva europea 2004/80/CE.
Gli Ermellini si sono poi soffermati sulla decisione del giudice d’appello il quale “ha in concreto confuso il concetto di risarcimento con la nozione di indennizzo”: si deve tenere distinto il risarcimento derivante dal danno subito dalla vittima per la ritardata trasposizione della direttiva dall’indennizzo dovuto per il danno conseguente al fatto illecito (nel caso concreto la violenza sessuale). Il criterio per la valutazione del danno patito dal soggetto danneggiato – nel caso di specie B.V. – dall’inadempimento dello Stato dalla tardiva attuazione della direttiva europea è costituito “dall’ammontare dell’indennizzo di cui esso, in quanto vittima del reato intenzionale violento, avrebbe avuto diritto ab origine come bene della vita garantito dall’obbligo di conformazione del diritto nazionale a quello dell’Unione”. Nel caso in questione, la tardiva trasposizione della direttiva è avvenuta soltanto nel 2017 comportando il riconoscimento, in favore delle vittime del reato di violenza sessuale di cui all’articolo 609-bis c.p., di un indennizzo quantificato in un importo fisso di euro 4.800, importo che, a seguito del D.M. 22 novembre 2019, è stato elevato alla misura fissa di euro 25.000, valore incrementabile fino al massimo di euro 10.000 per le spese mediche e assistenziali.
In conclusione, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha confermato la somma liquidata dalla Corte d’Appello precisando che dall’importo liquidato dalla Corte territoriale a titolo di risarcimento del danno per la tardiva trasposizione del suesposto articolo della norma europea e pari a euro 50.000 andranno detratti, in applicazione del principio della compensatio lucri cum danno, euro 25.000 – già ricevuti da B.V. in data 17 luglio 2020 – per un totale, comprensivo di interessi maturati, di euro 30.022,42.