Un caso giudiziario che ha destato particolare clamore mediatico quello della 66enne inglese Sally Challen condannata in primo grado nel 2011 dalla Corte di Guildford a scontare 22 anni – ridotti a 18 nel giudizio di Appello – di prigione per aver ucciso il marito con oltre venti colpi di martello.
Sally e Richard Challen si sono conosciuti giovanissimi, 15 anni lei 22 lui. Sposati nel 1979 dopo dieci anni di fidanzamento, hanno cresciuto insieme due figli, James e David, nella loro casa a Claygate, villaggio suburbano nel Surrey. In apparenza un quadro familiare perfetto, nella realtà Sally dipendeva dal marito dal quale subiva quotidiane umiliazioni, rimproveri e critiche continue, insulti e offese sul suo aspetto fisico. Esasperata dall’atteggiamento oppressivo del marito – il quale l’aveva allontanata da amici e parenti e controllava ogni suo minimo spostamento – e dalla sua infedeltà cronica nell’autunno del 2009 Sally prende forza e avvia le pratiche per la separazione, trasferendosi in una casa poco distante da quella familiare. La dipendenza psicologica da Richard è talmente radicata che Sally, però, non riesce a vivere separata da lui e nel giugno del 2010 decide di riavvicinarsi firmando, oltretutto, un accordo post matrimoniale (post-nuptial agreement) a lei economicamente svantaggioso e accettando dal Signor Challen delle restrizioni assurde, come il divieto di parlare a degli sconosciuti o di interromperlo in pubblico.
In tale contesto si è consumata la tragedia. Il 14 agosto del 2010, dopo un’intera giornata passata a pulire casa, Sally, obbligata dal marito risentito dal fatto che non ci sia nulla di pronto per cena, esce di casa. Tornata dalla spesa, notando che il telefono non era nella solita postazione, controlla l’ultima chiamata effettuata da Richard ed è allora che scopre l’ennesimo tradimento del marito il quale, dopo il riavvicinamento, le aveva promesso che le sarebbe stato fedele. È in quel momento che la Signora Challen prende un martello e lo uccide, coprendo poi il cadavere con una coperta. Sconvolta e consapevole di non poter più vivere senza di lui (“I cannot live without Richard”), decide di lanciarsi dalle scogliere di Beachy Head; prima, però, l’ultima telefonata alla cugina la quale, fortunatamente, la dissuade dal compiere quel gesto e allerta la polizia.
Di recente, su richiesta del legale della Signora Challen, l’Avvocata Harriet Wistrich dell’Associazione Justice for Women, la Corte d’Appello Penale britannica ha accolto la richiesta di revisione del processo e ha ritenuto di dover procedere nei confronti dell’imputata non più per omicidio volontario bensì per manslaughter (omicidio colposo). Durante il “nuovo” processo, svoltosi di fronte alla Corte d’Appello Penale il 28 febbraio 2019, la Difesa si è basata su diverse perizie dalle quali è emerso che l’instabilità e la fragilità psichica di Sally al momento dei fatti erano dovute ai maltrattamenti continui e ripetuti del marito. In particolare, i periti hanno stabilito che Sally è stata vittima del cosiddetto coercive control, considerato reato solo a partire dal 2015 e introdotto alla Sezione 76 del Serious Crime Act 2015 la quale ha riconosciuto la manipolazione psicologica (psychological manipulation) come una forma di violenza domestica. Tale disposizione normativa punisce colui che, ripetutamente o continuamente, assume consapevolmente nei confronti di una persona alla quale è personalmente legato un atteggiamento di controllo o di coercizione tale da causarne gravi conseguenze (serious effect). I comportamenti che integrano il reato sopra descritto possono essere svariati, tra questi: la volontà di allontanare la vittima dalla sua famiglia e dagli amici; privare la persona dei suoi bisogni primari (capacità economica e assistenza sanitaria); impedire alla persona di lavorare; costringere la vittima a subire quotidiane umiliazioni, il controllo su ogni aspetto della vita dell’altro. Secondo Alison Saunders, Direttrice della Pubblica Accusa Inglese al momento dell’entrata in vigore del reato di “controlling or coercive behaviour”, tali comportamenti rischiano di limitare i diritti fondamentali della persona, come la libertà di movimento e di pensiero oltreché la sua indipendenza.
Per tali ragioni i Giudici, ritenuta l’imputata vittima di violenza psicologica, hanno condannato la Signora Challen alla pena definitiva di 9 anni e 4 mesi di reclusione, pena già scontata da questa negli anni passati. Oggi, la priorità per Sally, uscita di prigione ad aprile 2019, è quella di trovare un suo equilibrio lontano dalle luci mediatiche. Ha deciso, a 66 anni, di trasferirsi nell’Essex con il figlio James. “Una parte di me desidera continuare a sensibilizzare le persone sul fenomeno della violenza psicologica, l’altra parte invece ha bisogno di voltare pagina. Se continuo a pensare a quello che è successo i ricordi non svaniranno mai e ci sono cose che non voglio ricordare” questa la sofferta dichiarazione della Challen rilasciata al “The Guardian” il 10 dicembre 2019.